Come è noto l’ordinamento conosce un modo di acquisto della proprietà a titolo originario per usucapione, ovvero che si realizza attraverso un possesso continuato del bene per un certo lasso di tempo.

Ma cosa esattamente può essere oggetto di usucapione? Per capire se l’azienda, nella sua interezza, possa o meno essere usucapita occorre necessariamente prendere le mosse dalla sua natura giuridica.

Il Codice civile, all’art. 2555, definisce l’azienda come il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.

Or dunque, a seconda della natura giuridica che si voglia attribuire all’azienda, cambia anche la soluzione giuridica che si darà alla sua usucapibilità.

In particolare, se si ritiene che l’azienda sia un complesso di singoli beni, solo quest’ultimi possono essere oggetto di possesso e quindi di usucapione. Al contrario, se si vuole considerare l’azienda quale bene autonomo e distinto rispetto ai singoli beni che la compongono (alla luce del nesso funzionale che li lega) allora occorre domandarsi se tale organizzazione di beni possa essere, complessivamente considerata, oggetto di possesso.

L’art. 2555 c.c. va infatti coordinato con l’art. 1140 c.c. che prevede che solamente le “cose” possono essere oggetto di possesso e dunque di usucapione, ai sensi degli artt. 1158 c.c. e ss.

Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite[1], con una decisione che riguardava l’usucapione di una farmacia da parte di un soggetto che per venti anni l’aveva gestita comportandosi come unico proprietario.

La Corte di Cassazione evidenzia innanzitutto come il richiamo effettuato dall’art. 1140 c.c. alle “cose” non vada inteso in senso naturalistico, ma bensì economico-sociale, di talchè non vi sarebbero nel nostro ordinamento ostacoli insormontabili al riconoscimento del complesso organizzato di beni (quali l’azienda) come “cosa” e quindi come oggetto di possibile possesso. Questo è ancor più vero ove si consideri che il riferimento alle “cose” dell’art. 1140 c.c. non esclude, per vero, nemmeno il possesso delle cose immateriali.

Ciò che al contrario occorre valutare è se vi siano nel sistema giuridico italiano norme incompatibili con il principio di usucapibilità dell’azienda.

La Corte di Cassazione svolge, quindi, un’analisi sistematica, notando come non vi siano in tal senso norme ostative, ma al contrario, come vi siano norme che il possesso dell’azienda lo consentono espressamente o comunque lo presuppongono.

In particolare, gli artt. 2556 e 2561 c.c. prevedono che l’azienda possa essere oggetto di proprietà e di usufrutto. Di talchè, considerato che il possesso è definito dal Codice civile come il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente al diritto di proprietà o altro diritto reale, esso deve essere considerato necessariamente ammissibile. Inoltre anche l’art. 670 c.p.c. prevede espressamente il possesso dell’azienda, ammettendo il sequestro delle aziende quando ne sia controversa la proprietà o, appunto, il possesso.

Pertanto, alla luce di tutte queste considerazioni, le Sezioni Unite concludono per l’ammissibilità del possesso e dunque dell’usucapibilità dell’azienda.

In particolare, affermano che, ai fini della disciplina del possesso e dell’usucapione, l’azienda deve essere considerata come un bene distinto dai singoli beni che la compongono, suscettibile di essere unitariamente posseduta e quindi usucapita, in presenza, ovviamente, anche degli altri requisiti previsti dalla legge, soprattutto in ordine al decorso di tempo necessario.

[1] Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 5087 del 5 marzo 2014.

Post a cura di SuperPartes

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