La Corte di Cassazione [1] ha recentemente esaminato un’interessante questione giuridica, riguardante la possibilità di usucapione delle parti comuni del condominio da parte di un singolo condomino.
Può capitare, infatti, che nel vivere quotidiano del condominio, uno dei condomini inizi a usare le parti comuni in maniera esclusiva. Nel caso recentemente analizzato dagli Ermellini il convenuto aveva, ad esempio, in occasione di una ristrutturazione, chiuso con opere murarie e una porta un porticato comune, impossessandosi tra l’altro di un forno ivi situato.
In tali casi, occorre chiedersi se maturino i presupposti necessari per poter usucapire il diritto di proprietà in relazione alle parti comuni. Per vero, nel caso di specie, la Corte non ha ritenuto raggiunta la prova dell’avvenuta usucapione, ma esclusivamente in base all’accertamento di fatto in relazione al singolo caso, ammettendola tuttavia come astrattamente possibile.
In particolare, più nel dettaglio, la Corte di Cassazione ha affermato che “il condomino può usucapire la quota degli altri senza che sia necessaria una vera e propria interversione del possesso”.
L’interversione del possesso, come noto, è un istituto disciplinato dall’art. 1164 c.c. che prevede che chi abbia il possesso di un bene corrispondente all’esercizio di un diritto reale su cosa altrui non possa usucapire il bene se non muti il titolo del suo possesso per causa proveniente da un terzo o in forza di un’opposizione da lui fatta contro il diritto di proprietà. Tant’è che in queste ipotesi il tempo necessario per l’usucapione inizia a decorrere solamente dal momento del cambio del titolo del possesso.
La Corte ha affermato però che, seppur non necessaria una vera e propria interversione nel possesso, è anche vero che “non è sufficiente che gli altri condomini si siano astenuti dall’uso del bene comune, bensì occorre allegare e dimostrare di aver goduto del bene stesso attraverso un possesso esclusivo in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare un’inequivoca volontà di possedere “uti dominus” e non “uti condominus”, senza opposizione, per il tempo utile ad usucapire”[2].
Comportarsi uti dominus significa qualcosa di diverso e ulteriore rispetto al mero comportamento uti condominus, riconosciuto a tutti i condomini sulle parti comuni ai sensi dell’art. 1102 c.c. comma 1: vuol dire esercitare un potere sulla cosa in maniera totalizzante, ovvero averne un possesso esclusivo, inconciliabile con il godimento da parte degli altri.
Infatti, continua la Corte, “il condomino che deduce di aver usucapito la cosa comune (…) deve provare di averla sottratta all’uso comune per il periodo utile all’usucapione, e cioè deve dimostrare una condotta diretta a rilevare in modo inequivoco che si sia verificato un mutamento di fatto nel titolo del possesso, costituito da atti univocamente rivolti contro i compossessori, e tale da rendere riconoscibile a costoro l’intenzione di non possedere più come semplice compossessore, non bastando al riguardo la prova del mero non uso da parte degli altri condomini, stante l’imprescrittibilità del diritto di comproprietà”.
[1] Corte di Cassazione, sentenza n. 20039 del 6 ottobre 2016.
[2] Corte di Cassazione, sentenza n. 17322 del 23 luglio 2010.
Post a cura di SuperPartes